
Outis
Outis di Luciano Berio
Outis, azione musicale in due parti, per voci, coro, orchestra e live electronics
Outis è una delle ultime opere di teatro musicale composte da Berio e fa ampio ricorso alle tecnologie del suono. Andata in scena al Teatro alla Scala di Milano (1996 e 1999) e al Théâtre du Chatelet di Parigi (1999), l’azione dura circa due ore ed è divisa in cinque cicli. I testi sono stati scritti dallo stesso Berio insieme Dario Del Corno, noto studioso del mondo greco. L’opera prevede una grande varietà e quantità di strumenti e voci in scena: sono ben 19 i cantanti, gli attori e gli strumentisti, oltre ad un gruppo vocale di otto solisti, il coro, l’orchestra e il live electronics.
L’opera è caratterizzata da una divisione in cinque cicli all’interno dei quali emergono una pluralità di storie e di trame, con riferimenti agli autori più diversi, dallo stesso Omero a Catullo, da Auden a Brecht, a Joyce, Melville, Sanguineti e Celan. La molteplicità e la variabilità del testo come della scena, ma soprattutto della musica, sono da considerarsi le vere costanti narrative di Outis, caatteristiche che permettono di “percepire figure ed episodi diversi in una stessa luce oppure di cogliere il senso di un solo elemento in luci e prospettive musicali ogni volta differenti”. Rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano nel 1996 con la regia di Graham Vick, Outis è stata ripresa nel 1999 prima alla Scala e poi al Théâtre du Châtelet di Parigi, quest’ultima con la regia di Yannis Kokkos. Per queste due ultime esecuzioni Berio ha progettato una nuova parte elettronica che andasse maggiormente incontro sia alla risoluzione di alcune delle problematiche tipiche dell’utilizzo dell’elettronica per il teatro musicale, sia alla identificazione di peculiarità musicali e sonore dell’opera stessa. I presupposti dell’elettronica di Outis partono dal tentativo di liberare il suono dal senso di intubamento dovuto alla collocazione dell’orchestra nella fossa teatrale, intubamento che va certamente contro l’ideale dell’ascolto analitico. Qui trova applicazione il concetto generale di una sonorità orchestrale che, grazie all’amplificazione, possa avvicinarsi al carattere di quella ottenuta da una perfetta registrazione di studio; in questo caso però la diffusione sonora deve essere tale da non far percepire la presenza degli altoparlanti e neanche trasformazioni elettroniche evidenti, l’elaborazione del suono è qualcosa che compare ma che non si deve avere il tempo di individuare e riconoscere. Lo schema frontale dei diffusori prevede quattro gruppi di altoparlanti collocati nei palchetti di proscenio a cui si aggiunge un cluster centrale per la chiusura del fronte stereo e per la diffusione delle voci. I quattro gruppi laterali vengono utilizzati anche per la spazializzazione del suono con movimenti orizzontali, verticali e diagonali; inoltre, un gruppo di altoparlanti viene collocato all’interno del lampadario situato centralmente rispetto al soffitto della platea ed utilizzato per la diffusione di particolari sequenze registrate di voci di bambini. Complessivamente si tratta di un sistema di diffusione che, se da un lato ripercorre le esigenze strutturali dell’opera, dall’altro interagisce e si innesta nello scenario più classico e difficile, quello dello spazio teatrale tradizionale. Malgrado l’ambiente esecutivo faccia uso di algoritmi concettualmente semplici è il loro rapporto con la musica scritta e con il suono orchestrale che ne determinano la funzionalità. Tanto la spazializzazione e l’armonizzazione quanto soprattutto la microfonazione contribuiscono quindi ad un processo di estensione del suono orchestrale e lo proiettano in una dimensione di continua mobilità e trasparenza.
La nota è tratta dalla traduzione italiana del seguente articolo:
F. Giomi, D. Meacci and K. Schwoon, “Live electronics in Luciano Berio’s Music”, Computer Music Journal 27 (2), 2003 MIT Press – pp. 30-46.